Discorso conclusivo del nostro presidente dell'ANPI provinciale Diego
Collovini
Autorità civili, militari e religiose, cittadine e cittadini, cari studenti, per
me è un onore essere chiamato tra voi in questo giorno a commemorare gli eventi
tragici che quasi settant'anni fa insanguinarono Blessaglia.
Anche questo è stato uno dei tantissimi eventi che segnarono indelebilmente il
Veneto Orientale.
Non è solamente una commemorazione di eventi e di uomini, è un giorno che
richiede di condividere una riflessione sui sentimenti e sugli ideali che allora
animarono i combattenti, e che quegli stessi giovani ci hanno lasciato in
feconda eredità.
Quest'anno i giovani studenti delle scuole Medie di Pramaggiore hanno letto
alcune testimonianze degli ultimi protagonisti ancor viventi, che nel 1943
compirono delle scelte, mescolando sentimenti e idee, giudicando un passato e
ipotizzandone un futuro ma tutti nutriti dalla convinzione che la Resistenza non
fu solo un deliberato movimento di opposizione all'oppressione fascista e
all'occupazione nazista, ma una scommessa sul futuro, la realizzazione di un
sogno covato per più di vent'anni e animato dalla speranza di una società
democratica, di una repubblica che trovasse la sua ragione d'essere nel lavoro,
con l'aspettativa di una legge elettorale che garantisse loro una libera e
democratica partecipazione alla nascita di un nuovo Paese.
La rivolta è stata anche il più spontaneo moto di rifiuto e ribellione alla
violenza e al sopruso, un invincibile atto di ripulsa espresso da persone e
comunità pacifiche, la cui esistenza quotidiana era stata sconvolta e spezzata
prima dalla dittatura poi dalla guerra e infine dall'occupazione nazista.
Oggi compiamo un atto di riconoscenza verso quel popolo italiano che seppe
riscattarsi non solo moralmente ma partecipando attivamente alla ricostruzione
di una nazione distrutta nei diritti e nella dignità di fronte al mondo. Luigi
Meneghello, partigiano di Giustizia e Libertà, e importante scrittore del secolo
scorso scrisse: «Quando spariscono le parole, spariscono anche le cose che le
parole rappresentano» e per non dimenticare né gli uomini né gli ideali che
questi hanno rappresentato è necessario ricordare i nomi, i volti di questi
giovani che settant'anni fa si sono trovati di fronte a importanti scelte.
Alcuni hanno potuto raccontare quanto sono valse queste scelte, altri, come i
giovani impiccati di Blessaglia, assieme a migliaia di giovani in tutta Italia,
hanno lasciato a noi la loro memoria e per questo dobbiamo ancora una volta
ripetere i loro nomi:
- Giodo Bortolazzi nato a San Donà di Piave impiccato a 18 anni;
-
Flavio Luigi Stefani nato a San Donà di Piave impiccato a 21 anni;
-
Casimiro Benedetto Zanin nato a San Donà di Piave impiccato a 20 anni;
-
Michail Zinowski "Marcello" nato a Kiuka ex Unione Sovietica impiccato a 27
anni;
-
Giuseppe De Nile nato a San Chirico Raparo Potenza impiccato a 21 anni;
-
Bachisio Pau "Valerio" nato a Buddusò Cagliari impiccato a 25 anni;
-
Angelo Antonio Cossa "Remmit" nato a Bultrei Sassari impiccato a 23 anni;
-
Alfredo Fontanel "Fulmine" di Pramaggiore impiccato a 18 anni.
Nomi che compongono il grande mosaico della Resistenza, che ancora non abbiamo
finito di studiare e conoscere, per renderla compiuto patrimonio della storia e
della memoria collettiva degli italiani.
Quei giovani, quelle idee sprigionarono un senso civico, un sentimento nazionale
e un desiderio di libertà che invano le superiori forze nazifasciste tentarono
di annientare.
Una resistenza al nemico invasore che è stata possibile grazie alla generosa
solidarietà tra partigiani e comunità locali, verso le quali i nazifascisti
scatenarono disumane rappresaglie.
A testimonianza di tutte l'eccidio di Torlano quando della famiglia De Bortoli
di Summaga di Portogruaro furono barbaramente uccisi Vilma (11 anni), Oneglio (8
anni), Bruna (6 anni), Maria (4 anni) e Luciano (2 anni).
Donne e uomini espressione di un movimento davvero popolare, in tutte le sue
declinazioni di estrazione sociale, fede e cultura politica, accomunati dalla
consapevolezza di essere protagonisti di una storia che oltrepassa ogni
personalismo.
Ecco perché è ancora necessario far sentire i nomi di quei giovani perché sono
ancora i testimoni muti del senso di una scelta che ha segnato la loro vita, non
nel terribile e circoscritto arco della guerra, ma una volta per sempre, non
cessando mai di richiamarci alle fonti da cui nacquero la democrazia e la
Repubblica.
Molti oggi, sbagliando, vorrebbero ridurre la Resistenza a un evento minoritario
e tutto sommato irrilevante nel mezzo di un'imponente guerra di liberazione
mossa esclusivamente dagli eserciti alleati.
Sbaglia chi non sa o non vuole leggere nella Resistenza il capitolo della nostra
storia in cui, con la democrazia, si è sancita l'Unità del nostro Paese.
Quell'unità d'Italia definitivamente nata nel 1948 con la nostra Costituzione,
che, fuori di ogni dubbio, rimane un punto irrinunciabile e indiscutibile, e la
sua saldezza va riaffermata ogni volta che riaffiorano tentazioni disgregatrici,
sia che si presentino nelle forme del più miope egoismo territoriale, sia che
vengano accampate da ragioni più sottili ma ugualmente censurabili come un miope
appello rivolto alla nostra coscienza civica.
Ognuno di noi deve essere un geloso custode della Costituzione, delle libertà
che in essa sono garantite come rispettoso deve essere dei doveri che questa
nostra carta stabilisce.
Proprio per questo equilibrio tra doveri e diritti, e tra i poteri dello Stato
bisogna adottare un'estrema prudenza quando si intenda modificarla.
L'impegno di salvaguardare la nostra Costituzione deve toccare, e in prima
persona, coloro cui i cittadini hanno affidato la responsabilità del governo e
delle amministrazioni del territorio.
Non può essere un vanto quanto un governo per promuovere il suo fare va dicendo:
«Stiamo perfino cambiando la Costituzione», sapendo, e non solo perché l'ANPI lo
va ribadendo da mesi, che il suo prezioso equilibrio s'intacca facilmente e che
le conseguenze non sono affatto prevedibili.
Mai si dimentichi che quella carta fu pensata e scritta dai mille costituenti
liberamente eletti dal popolo e che quei mille, di cui tutti noi conserviamo con
affetto e gratitudine almeno un nome, non possono essere sostituiti da 42 uomini
e donne nominati dal Governo o dalla Presidenza della Repubblica.
Questi 42 non potranno mai supplire un fervido lavoro di studi e di prassi
politica né migliorare quella Carta resa possibile dal contributo democratico di
tante realtà dell'Italia popolare, dopo la Guerra di Liberazione. Oggi 24
novembre in tutta Italia l'ANPI si è mobilitata per la difesa della Carta
Costituzionale e anche noi oggi vogliamo ribadire i NO alle modifiche della
Costituzione i No ai cambiamenti senza che i cittadini siano consultati, il NO
alla riforma dell'articolo 138 in discussione alla Camera.
L'ANPI non è un'associazione conservatrice per questo ritiene che la nostra
Carta Costituzionale vada modernizzata, ma solamente nella riduzione dei
parlamentari, nel dare maggior attenzione alle commissioni, all'abolizione del
bicameralismo perfetto, a una nuova riorganizzazione degli enti intermedi tra
Stato e Cittadini. La legge costituzionale proposta da questa maggioranza "vuole
togliere l'ultima parola ai cittadini su una norma di garanzia costituzionale",
quella che garantisce il referendum sulle modifiche costituzionali, e in questo
quadro di diffusa indifferenza, "ci si appresta a compiere uno strappo vero e
proprio alla nostra Costituzione e ad impedire ai cittadini di fare sentire la
propria voce".
Questa giornata ci porti a riflettere con attenzione sulle scelte costituzionali
affinché il sacrificio di questi giovani, come quello di tanti altri caduti o
uccisi nel suolo italiano, non vada svilito e dimenticato.
Viva la resistenza, viva l'Italia.
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